sabato 27 dicembre 2014

La solitudine




Aldo Carotenuto, articolo pubblicato su “Il Mattino” di Napoli, all’interno della rubrica “Eros e Pathos”. Non è stato possibile rinvenire la data esatta di pubblicazione.

L’uomo ha sempre cercato di capire quali siano le motivazioni sottese all’impossibilità di arginare il dilagare della sofferenza dentro alla sua anima. Il dolore umano costituisce una realtà poliedrica, di cui la solitudine rappresenta soltanto una delle molte facce. Del senso di solitudine ognuno di noi ha una propria opinione, tuttavia non se ne può avere una conoscenza esauriente fin quando non sperimentiamo noi stessi all’interno delle relazioni interpersonali.

Il vero problema è dato dal fatto che ogni volta che ci troviamo con gli altri, tra la gente, alle prese con quel genere di rapporti che potremmo definire “convenzionali”, ne avvertiamo in maniera diretta e dolorosa l’inconsistenza. 
I rapporti convenzionali sono, sia per caratteristiche sia per finalità, del tutto opposti alle relazioni che, invece, potremmo definire “autentiche”. 
Le circostanze della quotidianità, ci costringono a vivere rapporti falsi, fondati sulla menzogna, sulla competizione, su mortificanti bilanci tra vantaggi e svantaggi personali. Comprendiamo quindi che, stando così le cose, non soltanto si corre il rischio di non sentirsi mai preparati a vivere rapporti autentici ma, soprattutto, non lo si è realmente.
Ecco allora subentrare la sofferenza, un dolore sottile e persistente che la nostra anima prova sentendosi privata del suo principale nutrimento. 
Il rapporto autentico, fondato su una comunicazione sincera, dettata dai sentimenti, difficilmente riesce a trovare un territorio nel quale affondare le proprie radici e così, nella maggioranza dei casi, cede il passo alle relazioni convenzionali, prive di qualunque potere espressivo. Siamo dunque impreparati a vivere rapporti autentici, stentiamo a riconoscerli e ad aprirci ad essi con fiducia.

Il senso di solitudine è una delle caratteristiche essenziali della condizione umana. Sappiamo bene cosa esso sia perché tutti, almeno una volta nella vita, ne abbiamo fatto esperienza diretta. 
L’isolamento umano, inteso come ritiro in noi stessi, raggiunge talvolta una soglia oltre la quale le parole perdono significato e risultano inutilizzabili per descrivere ciò che si prova. 
Sentirsi soli in mezzo alla folla, ad esempio, è un’esperienza sconcertante ma più frequente di quanto si possa pensare. 

Da sempre l’uomo si interroga per cercare di comprendere quali siano le ragioni sottese all’impossibilità di avvertire la presenza degli altri e di beneficiarne.
Il dilagare della solitudine viene però determinato, più che dal non riuscire a percepire gli altri, dalla sensazione di non potere condividere le proprie emozioni, il proprio incomunicabile vissuto di sofferenza. La nostra condizione di disagio interno, talvolta è così estremizzata da impedirci di ricevere aiuto e sostegno dal contatto con gli altri. Lo sconforto interiore che in genere si accompagna alla solitudine, diviene così uno stimolo, un impulso irrefrenabile che ci spinge ad interrogarci in merito a noi stessi e alle persone che ci circondano.
Le considerazioni cui giungiamo sono spesso molto amare, soprattutto, quando riflettiamo sull’inconsistenza dei rapporti convenzionali. 
Accade così che le esperienze ci rendano sempre più diffidenti, sfiduciati rispetto alla possibilità di vivere rapporti autentici, tali da non farci più sentire soli. 
L’area degli affetti è la più difficile da vivere perché su essa riversiamo non solo tutte le nostre aspettative ma, soprattutto, le paure più intime, in primo luogo quella di ritrovarci soli con i nostri sogni infranti. 
Così, commettendo un grave errore, permettiamo che la nostra anima diventi refrattaria alle emozioni, impermeabile ai sentimenti e a quelle meravigliose illusioni che solo la dimensione amorosa può alimentare.

Fortunatamente, però, nell’esistenza di ogni individuo si presenta, prima o poi, un momento di grande rilevanza psicologica, in cui si giunge a comprendere quanto siano fondamentali i rapporti per la nostra sopravvivenza. 
Si esperisce una sorta di “risveglio” per cui, all’improvviso, i nostri occhi si spalancano permettendoci di vedere gli altri, le persone che ci circondano, sotto una luce completamente diversa. 
E’ questo un momento fondamentale, in cui si ricomincia a credere e a guardare al futuro con ottimismo.
Illuminato dalla fiducia, il volto della persona amata risplende infondendo in noi che lo ammiriamo la speranza di non essere mai più soli. 
Sebbene la solitudine e la sofferenza sembrino essere connaturate all’uomo, esiste comunque la possibilità di condividere le nostre inquietudini con un’altra persona, capace di comprenderci perché tormentata dallo stesso tipo di disagio interiore. 

L’amore rende possibile anche questo straordinario prodigio: la sconfitta della solitudine.

domenica 21 dicembre 2014

Simona Molinari - Lettera


Lettera

No non starò qui a dire cosa è andato storto,
anche perché io forse non l'ho mai capito,
ma fuggo via di spalle con le rose in mano
Correndo sopra le pozzanghere di vino.
No no, non potrei odiarti
non potrei davvero,
ma senza dire una parola ti allontano.
Ora ti perdo ed è davvero così strano.
Ora mi perdo,
ora mi accorgo che...ti amo!

E sia...
sia la notte, sia il giorno
sia senza ritorno...
Vai via, non amarmi mai più
non ferirmi di più...
E sia...
e non dire che mi ami,
non dirmi rimani
vai via, non amarmi mai più
non ferirmi di più...
E non dimentico di noi neanche un momento,
dei nostri viaggi e della nostra intimità,
dei gorni chiusi in una stanza senza tempo,
dei giorni accesi dalla mia felicità.
E non importa questa volta se io perdo,
perché in amore non si vince quasi mai.
Ti lascio tra le braccia di una nuova vita
che è più decisa e ha più carattere di me

Leave me,
with the tears from your eyes
and don't say goodbay
just leave me.
I hate that it's true but i'm not good for you,
Leave me
take your hands out of mine and don't waste any time
Just leave me
let tonight fade to black and never look back

Sarò nei tuoi passi
ma ti lascio andare
perché questo amore
non possa finire!

Mi scrisse e mi lasciò quel foglio sopra il letto,
lì dove poco prima lo tenevo stretto.
E non fu facile accettare mai quel gesto
Più della sua amò la mia felicità!
Ed io chiusi la porta e mi presi il mio silenzio,
a respirare quella nuova libertà che
tanto illude e tanto può apparire cara
ma solo quando, in fin dei conti, non si ha

venerdì 19 dicembre 2014

Lettera di Frida Kahlo a Diego Rivera - Città del Messico 12 settembre 1939. Mai spedita.




Da Frida a Diego. Città del Messico 12 settembre 1939

"La mia notte mi strema. Sa bene che mi manchi e tutta la sua oscurità non basta a nascondere quest’evidenza che brilla come una lama nel buio, la mia notte vorrebbe avere ali per volare fino a te, avvolgerti nel sonno e ricondurti a me. Nel sonno mi sentiresti vicina e senza risvegliarti le tue braccia mi stringerebbero. La mia notte non porta consiglio. La mia notte pensa a te, come un sogno a occhi aperti. La mia notte si intristisce e si perde. La mia notte accentua la mia solitudine, tutte le solitudini. Il suo silenzio ascolta solo le mie voci interiori. La mia notte è lunga, lunga, lunga. La mia notte avrebbe paura che il giorno non appaia più ma allo stesso tempo la mia notte teme la sua apparizione, perché il giorno è un giorno artificiale in cui ogni ora vale il doppio e senza di te non è più veramente vissuta. La mia notte si chiede se il mio giorno somiglia alla mia notte. Cosa che spiegherebbe la mia notte, perché tempo anche il giorno. La mia notte ha voglia di vestirmi e di spingermi fuori per andare a cercare il mio uomo. Ma la mia notte sa che ciò che chiamano follia, da ogni ordine, semina-disordine, è proibito. La mia notte si chiede cosa non sia proibito. Non è proibito fare corpo con lei, questo, lo sa, ma si irrita nel vedere una carne fare corpo con lei sul filo della disperazione. Una carne non è fatta per sposare il nulla. La mia notte ti ama fin nel suo intimo, e risuona anche del mio. La mia notte si nutre di echi immaginari. Essa, può farlo. Io, fallisco. La mia notte mi osserva. Il suo sguardo è liscio e si insinua in ogni cosa. La mia notte vorrebbe che tu fossi qui per insinuarsi anche dentro di te con tenerezza. La mia notte ti aspetta. Il mio corpo ti attende. La mia notte vorrebbe che tu riposassi nell’incavo della mia spalla e che io riposassi nell’incavo della tua. La mia notte vorrebbe essere spettatrice del mio e del tuo godimento, vederti e vedermi fremere di piacere. La mia notte vorrebbe vedere i nostri sguardi e avere i nostri sguardi pieni di desiderio. La mia notte vorrebbe tenere fra le mani ogni spasmo. La mia notte diventerebbe dolce. La mia notte si lamenta in silenzio della sua solitudine al ricordo di te. La mia notte è lunga, lunga, lunga. Perde la testa ma non può allontanare la tua immagine da me, non può dissipare il mio desiderio. Sta morendo perché non sei qui e mi uccide. La mia notte ti cerca continuamente. Il mio corpo non riesce a concepire che qualche strada o una qualsiasi geografia ci separi. Il mio corpo diventa pazzo di dolore di non poter riconoscere nel cuore della notte la tua figura o la tua ombra. Il mio corpo vorrebbe abbracciarti nel sonno. Il mio corpo vorrebbe dormire in piena notte e in quelle tenebre essere risvegliato al tuo abbraccio. La mia notte urla e si strappa i veli, la mia notte si scontra con il proprio silenzio, ma il tuo corpo resta introvabile. Mi manchi tanto, tanto. Le tue parole. Il tuo colore. Fra poco si leverà il sole."

Lettera di Frida Kahlo a Diego Rivera - Città del Messico 12 settembre 1939. Mai spedita.