Aldo Carotenuto, articolo pubblicato su “Il Mattino” di Napoli, all’interno della rubrica “Eros e Pathos”. Non è stato possibile rinvenire la data esatta di pubblicazione.
L’uomo ha sempre cercato di capire quali siano le motivazioni sottese all’impossibilità di arginare il dilagare della sofferenza dentro alla sua anima. Il dolore umano costituisce una realtà poliedrica, di cui la solitudine rappresenta soltanto una delle molte facce. Del senso di solitudine ognuno di noi ha una propria opinione, tuttavia non se ne può avere una conoscenza esauriente fin quando non sperimentiamo noi stessi all’interno delle relazioni interpersonali.
Il vero problema è dato dal fatto che ogni volta che ci troviamo con gli altri, tra la gente, alle prese con quel genere di rapporti che potremmo definire “convenzionali”, ne avvertiamo in maniera diretta e dolorosa l’inconsistenza.
I rapporti convenzionali sono, sia per caratteristiche sia per finalità, del tutto opposti alle relazioni che, invece, potremmo definire “autentiche”.
Le circostanze della quotidianità, ci costringono a vivere rapporti falsi, fondati sulla menzogna, sulla competizione, su mortificanti bilanci tra vantaggi e svantaggi personali. Comprendiamo quindi che, stando così le cose, non soltanto si corre il rischio di non sentirsi mai preparati a vivere rapporti autentici ma, soprattutto, non lo si è realmente.
Ecco allora subentrare la sofferenza, un dolore sottile e persistente che la nostra anima prova sentendosi privata del suo principale nutrimento.
Il rapporto autentico, fondato su una comunicazione sincera, dettata dai sentimenti, difficilmente riesce a trovare un territorio nel quale affondare le proprie radici e così, nella maggioranza dei casi, cede il passo alle relazioni convenzionali, prive di qualunque potere espressivo. Siamo dunque impreparati a vivere rapporti autentici, stentiamo a riconoscerli e ad aprirci ad essi con fiducia.
Il senso di solitudine è una delle caratteristiche essenziali della condizione umana. Sappiamo bene cosa esso sia perché tutti, almeno una volta nella vita, ne abbiamo fatto esperienza diretta.
L’isolamento umano, inteso come ritiro in noi stessi, raggiunge talvolta una soglia oltre la quale le parole perdono significato e risultano inutilizzabili per descrivere ciò che si prova.
Sentirsi soli in mezzo alla folla, ad esempio, è un’esperienza sconcertante ma più frequente di quanto si possa pensare.
Da sempre l’uomo si interroga per cercare di comprendere quali siano le ragioni sottese all’impossibilità di avvertire la presenza degli altri e di beneficiarne.
Il dilagare della solitudine viene però determinato, più che dal non riuscire a percepire gli altri, dalla sensazione di non potere condividere le proprie emozioni, il proprio incomunicabile vissuto di sofferenza. La nostra condizione di disagio interno, talvolta è così estremizzata da impedirci di ricevere aiuto e sostegno dal contatto con gli altri. Lo sconforto interiore che in genere si accompagna alla solitudine, diviene così uno stimolo, un impulso irrefrenabile che ci spinge ad interrogarci in merito a noi stessi e alle persone che ci circondano.
Le considerazioni cui giungiamo sono spesso molto amare, soprattutto, quando riflettiamo sull’inconsistenza dei rapporti convenzionali.
Accade così che le esperienze ci rendano sempre più diffidenti, sfiduciati rispetto alla possibilità di vivere rapporti autentici, tali da non farci più sentire soli.
L’area degli affetti è la più difficile da vivere perché su essa riversiamo non solo tutte le nostre aspettative ma, soprattutto, le paure più intime, in primo luogo quella di ritrovarci soli con i nostri sogni infranti.
Così, commettendo un grave errore, permettiamo che la nostra anima diventi refrattaria alle emozioni, impermeabile ai sentimenti e a quelle meravigliose illusioni che solo la dimensione amorosa può alimentare.
Fortunatamente, però, nell’esistenza di ogni individuo si presenta, prima o poi, un momento di grande rilevanza psicologica, in cui si giunge a comprendere quanto siano fondamentali i rapporti per la nostra sopravvivenza.
Si esperisce una sorta di “risveglio” per cui, all’improvviso, i nostri occhi si spalancano permettendoci di vedere gli altri, le persone che ci circondano, sotto una luce completamente diversa.
E’ questo un momento fondamentale, in cui si ricomincia a credere e a guardare al futuro con ottimismo.
Illuminato dalla fiducia, il volto della persona amata risplende infondendo in noi che lo ammiriamo la speranza di non essere mai più soli.
Sebbene la solitudine e la sofferenza sembrino essere connaturate all’uomo, esiste comunque la possibilità di condividere le nostre inquietudini con un’altra persona, capace di comprenderci perché tormentata dallo stesso tipo di disagio interiore.
L’amore rende possibile anche questo straordinario prodigio: la sconfitta della solitudine.
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