sabato 28 giugno 2014

Gustav Klimt - L'albero della vita (fregio per la Sala da Pranzo di Palazzo Stoclet, Bruxelles (1905-09)




Bellissima interpretazione

Gustav Klimt nel 1907 produsse un fregio, distinto in tre porzioni, lungo circa 7 metri per l'addobbo della sala da Pranzo di Palazzo Stoclet a Bruxelles.

Molteplici possono essere i significati del capolavoro, e non esplicitamente espressi dall'autore (come avviene invece per il Fregio della 9° Sinfonia di Beethoven esposto nel Museo della Secessione a Vienna)

Innanzitutto l'albero è un simbolo ancestrale, comune e ricorrente nella cultura di più popolazioni, come quella egizia, alcune antiche civiltà mesopotamiche, islamiche, Sudamericane, indiane, ebraiche, bizantina...
In particolare, nella cultura ebraica e cristiana, ove è rigidamente simmetrico,ha caratteristiche ben connotate e di elevato valore simbolico.
In generale rappresenta il significato biblico de "L'albero della conoscenza".

" Se voi conoscerete la Verità, la Verità vi farà Liberi"
L'Ignoranza è uno schiavo, la Conoscenza è libertà.
" Se noi riconosceremo la Verità, ritroveremo i Futti della Verità in noi stessi. 
Se ci uniremo con essa, essa produrrà il nostro perfezionamento
Vangelo di Filippo, Vers. 123

La struttura: mosaico di marmi, pietre dure, maioliche e corallo.
Il motivo centrale, nel pannello centrale è ciò che dà il nome al capolavoro.
E' il simbolo di tanti temi cari all'autore, che li riunifica in un'opera unica: motivi floreali, la figura femminile, la morte della vegetazione, la rinascita attraverso il ciclo delle stagioni, la rigenerazione, l'energia vitale.
Su di esso è appollaiato un uccello, che rappresenta la minaccia della Morte, contrastata e minimizzata dalla rigogliosità dei rami; oltre allo sviluppo della forma, è anche il fatto che sia d'oro, e quindi "inscalfibile" dall'uccello, che così viene degradato da minaccia in semplice fastidio.

I rami con i frutti si espandono ad unificare le figure del pannello di destra con quello di sinistra

Sul pannello di sinistra una (presunta) danzatrice da sola, rappresenta l'ATTESA.
Dipinta in stile "egizio" perché di profilo, e vestita di un vestito.
Solo il volto e le mani hanno un'espressività naturalistica, in contrasto con il resto del corpo che appare privo di tridimensionalità.
L' attesa è un atteggiamento tipico della figura femminile klimtiana.

Sul pannello di destra viene viene rappresentata la RICONCILIAZIONE, mediata dal celeberrimo "abbraccio". L'aureola attorno ai due protagonisti, in oro, conferisce al dipinto un carattere di preziosità.
"L'abbraccio", che ricorda il coevo "Il bacio",  e rielaborazione di un altro "abbraccio" presente nel "Fregio della Nona Sinfonia", appare nel suo naturalismo nel volto della donna con gli occhi chiusi, mentre il volto del compagno non si vede perché voltato di spalle.

Cielo e terra sono racchiusi nell'Albero della vita.
La donna in attesa, attende l'amato; attesa che termina con l'abbraccio, in cui ci sono l'inconscio, spirito e materia; L'abbraccio Invece l'abbraccio del'albero che riunisce l'incontro con le due figure ai lati, rappresenta l'amore, il bene che non ha confini di spazio e di tempo, il BENE oltre tutti gli egoismi.


Un capolavoro ASSOLUTO.


venerdì 27 giugno 2014

Sandro Filipepi detto il BOTTICELLI - Venere e Marte (London, National Gallery)


Il dipinto risale al 1492-93, ed è realizzato in tecnica mista su tavola.

Nel dipinto vengono rappresentati i due Dei e alcuni Satiri, distesi su una radura.
Marte giace esausto nella "piccola morte", quel profondo sonno che segue al rapporto sessuale, consumato con la Dea, Venere, Dea dell'amore e della bellezza: rapporto adulterino in quanto sposa di Vulcano.
Il sonno del Dio della Guerra è talmente profondo, dalla spossatezza, che nemmeno la tromba di uno dei satiri riesce a risvegliarlo, come neanche gli altri due della parte superiore che giocano con le sue armi.
Venere, per contro, è sveglia e persa nel contemplare le fattezze dell'amante, con lo sguardo malinconico. elemento, questo, di inquietudine nel dipinto, al pari del sonno particolarmente profondo di Marte.

Il significato, non attribuito dall'autore, potrebbe essere la forza "civilizzatrice" dell'amore nei confronti della forza e della violenza.

Una curiosità: il satiro nelle parte inferiore del dipinto pare stringa tra le mani un frutto di Datura antimonium, pianta allucinogena, la stessa utilizzata nei sabba delle streghe per gli effetti particolarmente afrodisiaci.

sabato 7 giugno 2014

Dante - Inferno, estratto Canto V, l'episodio di Paolo e francesca




«O animal grazioso e benigno 
che visitando vai per l’aere perso 
noi che tignemmo il mondo di sanguigno, 
      se fosse amico il re de l’universo, 
noi pregheremmo lui de la tua pace, 
poi c’hai pietà del nostro mal perverso. 
      Di quel che udire e che parlar vi piace, 
noi udiremo e parleremo a voi, 
mentre che ’l vento, come fa, ci tace. 
      Siede la terra dove nata fui 
su la marina dove ’l Po discende 
per aver pace co’ seguaci sui. 
      Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende 
prese costui de la bella persona 
che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende. 
      Amor, ch’a nullo amato amar perdona, 
mi prese del costui piacer sì forte, 
che, come vedi, ancor non m’abbandona. 
      Amor condusse noi ad una morte: 
Caina attende chi a vita ci spense». 
Queste parole da lor ci fuor porte. 
      Quand’io intesi quell’anime offense, 
china’ il viso e tanto il tenni basso, 
fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?». 
      Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, 
quanti dolci pensier, quanto disio 
menò costoro al doloroso passo!». 
      Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, 
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri 
a lagrimar mi fanno tristo e pio. 
      Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri, 
a che e come concedette Amore 
che conosceste i dubbiosi disiri?». 
      E quella a me: «Nessun maggior dolore 
che ricordarsi del tempo felice 
ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore. 
      Ma s’a conoscer la prima radice 
del nostro amor tu hai cotanto affetto, 
dirò come colui che piange e dice. 
      Noi leggiavamo un giorno per diletto 
di Lancialotto come amor lo strinse; 
soli eravamo e sanza alcun sospetto. 
       Per più fiate li occhi ci sospinse 
quella lettura, e scolorocci il viso; 
ma solo un punto fu quel che ci vinse. 
       Quando leggemmo il disiato riso 
esser basciato da cotanto amante, 
questi, che mai da me non fia diviso, 
      la bocca mi basciò tutto tremante. 
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: 
quel giorno più non vi leggemmo avante». 
      Mentre che l’uno spirto questo disse, 
l’altro piangea; sì che di pietade 
io venni men così com’io morisse. 
      E caddi come corpo morto cade.

Ugo Foscolo - Alla sera


    Forse perché della fatal quïete
    Tu sei l'imago a me sì cara vieni
    O sera! E quando ti corteggian liete
    Le nubi estive e i zeffiri sereni,
    E quando dal nevoso aere inquïete
    Tenebre e lunghe all'universo meni
    Sempre scendi invocata, e le secrete
    Vie del mio cor soavemente tieni.
    Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
    che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
    questo reo tempo, e van con lui le torme
    Delle cure onde meco egli si strugge;
    e mentre io guardo la tua pace, dorme
    Quello spirto guerrier ch'entro mi rugge

il Finale di "Notre Dame de Paris" (Victor Hugo)




Trovarono tra tutte quelle orribili carcasse due scheletri, uno dei quali abbracciava singolarmente l'altro.
Uno di quegli scheletri, che era quello di una donna, era ancora coperto di qualche lembo di una veste di una stoffa che era stata bianca, ed era visibile attorno al suo collo una collana di adréazarach con un sacchettino di seta, ornato da perline verdi, che era aperto e vuoto. Quegli oggetti erano di così poco valore che di certo il boia non li aveva voluti. L'altro, abbracciava stretto questo, era lo scheletro di un uomo.
Notarono che aveva la colonna vertebrale deviata, la testa incassata tra le scapole e una gamba più corta dell'altra. D'altronde non aveva alcuna vertebra cervicale rotta ed era evidente che non fosse stato impiccato. L'uomo al quale era appartenuto era quindi giunto lì, e lì era morto. Quando fecero per staccarlo dallo scheletro che abbracciava, cadde in polvere.