domenica 18 settembre 2016

Top of Monviso 9 luglio 2016




E così, ce l’ho fatta.

Ho realizzato un sogno, uno degli obiettivi della mia vita.
Salire sul Re di Pietra, il Monviso.
La montagna che come poche altre può definirsi “la Montagna”.
Quella montagna che si vede dalla Pianura Padana; si vede anche dal bergamasco, come ci ha detto un escursionista orobico ieri al rifugio.

Sin da quando ero piccolino guardavo quella montagna laggiù, la più alta, e mi chiedevo cosa si sarebbe potuto osservare da lassù; inoltre l’assonanza del suo nome con il mio cognome, me l’ha reso sempre molto familiare.

Quella montagna mi ha accompagnato, contemplandola, in tanti momenti; all’alba, al tramonto, abbandonandosi ai pensieri; mi ha accompagnato con il suo inconfondibile skyline quando studente andavo a Torino, nei momenti felici, in quelli tristi, perché lei era sempre li, maestosa e superba.

Salire lassù non è stata una semplice scalata. Non semplice per le difficoltà tecniche, per la fatica ma soprattutto per l’aspetto mentale; sapere che era giunto il momento di salire lassù e che, avendo scelto la parte est, non v’era possibilità di ritorno o di uscita. Solo raggiungere la vetta era possibile.

Appena arrivati al rifugio, il giorno prima, sono entrato subito nella cappelletta dedicata a tutti quanti hanno perso la vita nel tentare la scalata. Innumerevoli fotografie di persone unite dall’amore timore per quella montagna; ragazzi giovani, uomini più attempati, donne. Tutti con volti sorridenti, di quel sorriso che ti stampi sul volto solo quando vai in montagna e ti senti in armonia con la Natura.
Persone che non ci sono più.
E, salendo, innumerevoli lapidi o targhette fissate a memoria imperitura nella riccia, quella roccia che per loro fu fatale.
Un monito per noi, per non prenderla alla leggera.
Per ricordarci che non dovevamo sfidarlo il Re di Pietra, ma semplicemente unirci a Lui in armonia, vivere la sua maestosità e superbia.
Sentire in lontananza il rumore di massi che franano era un monito per ricordarci che se lo sfidi, e Lui lo sente, , è una sfida per noi persa.


Non è stata una sfida con Lui, infatti. E’ stata una sfida con noi stessi.
La montagna ti da molto. Ti fa abbandonare i pensieri pesanti, che lassù non riescono a salire perché solo zavorra inutile.
Ti rinfranca i pensieri sull’amicizia, sullo spirito di solidarietà.
E se non avessi conosciuto un amico come Paolo, la salita sarebbe stata solo e sempre un sogno, un obiettivo da realizzare a data da destinarsi, e non più una realtà recente.


E, da oggi, possiamo dire: “Siamo stati lassù”

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